All’indomani del 15 febbraio 2022 fu alta la voce di dissenso e di sconforto che si levò dalle fila dei promotori del referendum abrogativo dell’art. 579 c.p. e di quell’ampia fetta di società civile che richiedeva a gran forza che venisse fatto un passo in avanti verso il riconoscimento di una piena libertà di autodeterminazione nell’ambito del c.d. “suicidio assistito attivo”. La Corte Cost. dichiarò infatti inammissibile quel quesito referendario, pubblicando poi solo pochi giorni fa le motivazioni sottostanti quella decisione. La responsabilità passa quindi ora al legislatore, chiamato all’importante compito di offrire una disciplina compiuta e dettagliata sul suicidio assistito e sulle condizioni che devono sussistere perché questo sia legittimo.

Le proposte di legge sul punto non mancano, e già nella giornata di giovedì 10 marzo la camera ha approvato una prima formulazione normativa ma, come noto, i procedimenti di promulgazione delle leggi sanno essere talvolta piuttosto lunghi e pieni di impervie.

Nel frattempo sembra poter essere utile e opportuno guardare al passato recente, e all’importante risultato ottenuto attraverso la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento, pubblicata nel 2017. Attraverso il seguente articolo si cercherà dunque di offrire un’analisi di questa disciplina, non mancando di considerare anche gli aspetti più pratici della materia.

Di Marco Buresta

 LA CONSULTA PUBBLICA LE MOTIVAZIONI SULLA BOCCIATURA DEL REFERENDUM ABROGATIVO DELL’ART. 579 C.P. RIGUARDANTE IL SUICIDIO ASSISTITO

Sono recentemente state depositate, in data 2 marzo 2022, con la sentenza 50/2022 le motivazioni della decisione, già adottata e divulgata lo scorso 15 febbraio, in ordine all’ammissibilità costituzionale del referendum abrogativo dell’art. 579 c.p. promosso dall’associazione Luca Coscioni e caldeggiato da gran parte dell’opinione pubblica. Trattasi del referendum sulla c.d. “eutanasia legale”, attraverso il quale, abrogando parte dell’art. 579 c.p., si perseguiva la finalità di eliminare la rilevanza penale della condotta di chi offra la propria assistenza al suicidio a persone che si trovino in condizioni di perdurante e irreversibile sofferenza fisica e psicologica. La Corte Cost.  ha precisato tuttavia con la sent. 50/2022 che essa non può, nel proprio giudizio di ammissibilità, prendere in considerazione a nessun fine i propositi e gli intenti dei promotori del referendum, o le conseguenze che potrebbero derivare dall’abrogazione della disciplina. Ciò che la Corte deve invece valutare è che dal quesito referendario non possa in alcun modo derivare la lesione di un valore fondamentale ed apicale nell’ambito dei diritti della persona. E nel caso di specie giustappunto, ad avviso della Corte, da un’abrogazione seppur non integrale dell’art. 579 c.p. conseguirebbe irrimediabilmente l’assenza di una tutela minima al diritto fondamentale della vita. Abrogando l’art. 579 c.p. nelle parti previste dal quesito referendario, sostiene la Corte Cost., si renderebbe indiscriminatamente lecito l’omicidio di chi vi abbia validamente consentito <<a prescindere dai motivi per i quali il consenso è prestato, dalle forme in cui è espresso, dalla qualità dell’autore del fatto e dai modi in cui la morte è provocata>>. La sola tutela, garantita da quanto rimarrebbe in vita dell’art. 579 c.p., nei confronti di minori e soggetti incapaci di intendere e volere nonché di casi in cui il consenso venga recepito con violenza o minaccia, non sarebbe cioè sufficiente a salvaguardare il diritto alla vita di chi si trovi in una condizione così complessa ed estrema di vulnerabilità.

Ne deriva, dunque, che l’obiettivo perseguito originariamente dai promotori del referendum popolare, di fornire una compiuta tutela alla libertà di autodeterminazione individuale di soggetti in condizioni di perenne e irreversibile sofferenza fisica e psichica dovrà necessariamente passare per un intervento legislativo che sia in grado di rispondere a tali esigenze senza da ciò farne derivare una possibile lesione a diritti inviolabili costituzionalmente tutelati. Ciò che non sarebbe stato possibile con un mero intervento abrogativo.

Un percorso che, a ben vedere, sembra per certi versi similare a quello che portò nel 2017 alla pubblicazione di una normativa compiuta che disciplinasse le Disposizioni Anticipate di Trattamento, ad oggi unica legge in grado di fornire garanzie all’autodeterminazione di alcune categorie più fragili di individui per le particolari condizioni di salute in cui si trovano. Delle garanzie che, tuttavia, non sono estendibili a chi non veda la propria vita inestricabilmente legata al filo sottile dei macchinari medici. A fronte di un ordinamento che già prevede la libertà di autodeterminazione, comprensibile è lo sconforto umano di chi dall’ammissibilità di quel referendum vedeva passare una possibile soluzione alle proprie perenni sofferenze. Sebbene dunque la disciplina sulle DAT si rivolga ad una possibile platea di individui parzialmente differente da quella che reclama con forza la necessità di una disciplina della c.d. “eutanasia legale attiva”, sembra opportuna un’analisi del percorso che ha portato alla promulgazione di quella legge e alle ricadute in concreto che quella stessa ha avuto e può ancor oggi avere nella risposta al bisogno di autodeterminazione di ognuno di noi.

DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO: DALLA TEORIA ALLA PRATICA

Un breve excursus storico: il lungo e difficile percorso che ha condotto alla promulgazione della normativa

Con legge 22 dicembre 2017, n. 219 il parlamento è finalmente intervenuto a colmare un vuoto legislativo che gran parte della società civile stava reclamando da ormai molti anni, e che, come spesso capita in tali casi, era stato nel frattempo occupato dagli interventi risolutori della giurisprudenza costituzionale e di legittimità.  Trattasi dell’introduzione di una disciplina che regolasse in maniera esaustiva e compiuta la complessa e annosa tematica delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), comunemente definite come testamento biologico o biotestamento. Con la costante evoluzione e il progredire della scienza medica e delle tecnologie ad essa applicate, infatti, si è avvertita sempre più con il passare dei decenni l’esigenza e la necessità che ogni singolo individuo fosse in grado autonomamente e per sé stesso di valutare sino a che punto e con quali limiti gli interventi medici a cui esso possa essere sottoposto siano in grado di garantire una vita definibile come dignitosa. Se l’obbligatorietà del consenso informato del paziente, pacificamente derivante dal combinato disposto degli artt. 2, 13, 32 Cost. nonché da leggi ormai piuttosto risalenti, (L. 180/1978 sugli accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori; l. 833/1978 sul servizio sanitario nazionale) e dal codice di deontologia medica del 2006 (artt. 35 e 37), ha garantito una tutela soddisfacente per il diritto di autodeterminazione terapeutica di ogni persona in grado di manifestare la propria volontà, il vulnus di tutela più evidente è emerso nei confronti di quei pazienti che, per il particolare  e drammatico stato di salute in cui versavano, non erano altrettanto in grado di esprimere un consapevole e cosciente consenso o rifiuto ad essere sottoposti a cure molto invasive. Il leading case nel nostro ordinamento fu quello di Eluana Englaro, giovane ragazza che a causa di un grave incidente versò per ben 17 anni in condizioni di stato vegetativo permanente (SVP) e per la quale l’unico modo per essere mantenuta in vita era divenuto quello della nutrizione e idratazione artificiali (NIA) per via parenterale o tramite sonda gastrica. Le iniziali difficoltà nel poter definire in maniera univoca come trattamento medico-sanitario la nutrizione artificiale non accompagnata da contestuale ventilazione artificiale (la paziente era cioè in grado di respirare autonomamente), nonché e in particolar modo l’assoluta impossibilità di poter recepire il consenso della paziente alla continuazione delle cure salvavita, a causa della degenerazione definitiva cui era andata incontro la parte superiore della corteccia cerebrale, rendevano la vicenda piuttosto contorta e di difficile soluzione anche sotto un profilo giuridico. Il padre della ragazza, Beppino Englaro, in qualità di tutore della stessa e nella convinzione che la figlia mai avrebbe voluto vivere in un tale stato, dovette dunque affrontare una lunga vicenda processuale per far sì che venisse sospesa l’alimentazione artificiale che teneva in vita Eluana. Data l’assoluta impossibilità di un recupero della coscienza da parte della ragazza, l’intera vicenda processuale si basò dunque sulla possibilità o meno di ricostruire una presunta volontà della paziente a proseguire o interrompere le cure salvavita, che si fondasse sulla sua personalità e sui convincimenti e le dichiarazioni espresse quando questa era ancora capace di intendere e di volere. Con riferimento in particolar modo a quest’ultimo aspetto, si aprì un dibattito nell’intera comunità giuridica, politica e civile sulla necessità di una disciplina compiuta che regolasse le c.d. direttive anticipate di trattamento (DAT), così da permettere a ogni individuo di esprimere chiaramente la propria volontà in merito alle cure cui questi preferisca essere sottoposto e quelle che invece intenda rifiutare nell’ipotesi in cui si venga a trovare in uno stato di permanente incoscienza che non gli consenta di esprimere una volontà attuale. L’obiettivo da salvaguardare attraverso la disciplina era chiaro: valorizzare il rispetto della volontà personale di ogni individuo in ordine alla possibilità di rifiutare di essere sottoposto ad un intervento o a delle cure mediche in futuro, benché salvavita, qualora secondo i propri convincimenti quella vita non possa più essere definita come dignitosa.

La disciplina generale

Ai bisogni emersi nel contesto sociale e giuridico italiano, descritti poco sopra, ha dato una risposta esaustiva la disciplina di cui alla l. n. 219/2017. In primo luogo all’art.1 comma 5 viene fatta la fondamentale puntualizzazione per cui ai fini della disciplina sulle DAT vengono considerati trattamenti sanitari anche la nutrizione e l’idratazione artificiale dal momento che si tratta della somministrazione di nutrienti tramite dispositivi medici e su prescrizione medica.

È all’art. 4 della legge 219/2017 che vengono invece specificatamente regolate le DAT, definite come l’espressione delle proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, accertamenti diagnostici e scelte terapeutiche in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi. Si comprende dunque sin da subito quanto sia importante la previa consultazione di un proprio medico di fiducia antecedentemente la redazione di tali volontà, così da poter avere un quadro il più chiaro possibile sugli effetti concreti e le conseguenze sul piano medico che potranno avere le proprie disposizioni nonché sul loro contenuto.  Sebbene infatti alcuni comuni in Italia abbiano fornito dei modelli fac-simile per predisporre tali volontà, un approccio il più cosciente possibile richiede necessariamente il confronto con uno specialista in medicina.

Il fiduciario: nomina e ruolo

Un’altra figura importante in riferimento alle disposizioni di trattamento anticipato è quella del fiduciario. Deve trattarsi di persona maggiorenne, capace di intendere e di volere nominata dal disponente. Il suo ruolo è quello di garante delle disposizioni, egli tutela il rigoroso rispetto delle volontà inserite nelle DAT nel momento in cui avviene il ricovero del paziente incosciente nelle strutture sanitarie. Il fiduciario viene nominato attraverso le DAT ed è necessario che accetti la nomina, o tramite sottoscrizione delle disposizioni stesse o anche con atto successivo da allegare alle DAT. Nel caso in cui non vi sia la nomina di un fiduciario, o questi vi abbia in seguito rinunciato, le DAT rimangono comunque efficaci per quanto in esse disposto, tuttavia in tal caso il giudice tutelare potrebbe ravvisare l’esigenza di nominare un amministratore di sostegno del disponente che si occupi delle relazioni con i medici.

Come redigere le DAT e come avviene la raccolta presso la banca dati nazionale

Le DAT sono un atto facente pubblica fede, ossia la cui rilevanza ed efficacia ha la potenzialità di esser fatta valere nei confronti di terzi, medici e operatori sanitari, che non hanno preso parte in alcun modo alla stesura delle stesse ma che su di esse devono basarsi per rispettare le volontà del disponente e per non incorrere dunque in un illecito per responsabilità professionale.

La principale modalità per redigere le DAT è quella di recarsi da un notaio per la predisposizione di un atto pubblico, o alternativamente per disporre l’autenticazione delle firme di una scrittura privata. In entrambi i casi il notaio conserverà l’originale delle disposizioni e si occuperà della trasmissione delle stesse in copia elettronica alla banca dati nazionale istituita presso il ministero della Salute ed in cui le DAT vengono registrate. Alla banca dati, istituita a partire dal 1 febbraio 2020, possono avere accesso solo il disponente, l’eventuale fiduciario nominato, e i medici che avranno in cura il paziente che si venga a trovare in stato di incapacità ad autodeterminarsi.

Alternativamente per la redazione delle DAT è possibile recarsi presso il proprio Comune di residenza e redigere una scrittura privata da consegnare personalmente all’Ufficio di stato civile. La legge tuttavia prevede che l’Ufficiale di stato civile non possa partecipare in alcun modo alla stesura delle DAT, né tantomeno fornire informazioni concernenti il contenuto delle stesse. Sarà questo invece ad occuparsi della trasmissione delle DAT alla banca dati nazionale.

Occorre poi una doverosa puntualizzazione. Sebbene le DAT non abbiano un limite temporale è tuttavia opportuno rivalutarle e dunque aggiornarle o annullarle periodicamente. Ciò permetterà infatti una maggiore aderenza delle stesse rispetto alle condizioni di salute del disponente.

Qui Bologna, i servizi predisposti dal comune per la redazione delle DAT

Il comune di Bologna ha predisposto una convenzione con il Collegio notarile di Bologna che prevede un costo massimo di 100 euro a titolo di onorario per la stesura delle DAT. L’elenco dei numerosi notai aderenti è consultabile sul sito del comune di Bologna ed è comodamente accessibile.

Alternativamente, come per ogni comune, i residenti della città di Bologna potranno recarsi dall’Ufficiale di Stato civile e presentare di persona il modulo compilato di richiesta di iscrizione al registro per il deposito delle DAT. L’Ufficiale rilascerà una ricevuta di iscrizione nel registro con un proprio numero progressivo in cui sarà indicata anche la persona nominata come fiduciaria.

Le associazioni che offrono il proprio sostegno per la redazione delle DAT

Sono diverse le associazioni che a titolo volontario offrono tutela e indicazioni fondamentali nella redazione delle DAT. Sebbene sia sempre e comunque preferibile affidarsi ad un proprio medico di fiducia prima di procedere alla predisposizione delle DAT, così da comprender appieno il significato e le concrete implicazioni delle stesse, diverse di queste associazioni offrono anche dei modelli pre-compilati da ultimare ai fini della registrazione. I modelli a disposizione possono essere di due tipologie, in alcuni sono presenti sotto forma di elenco tutti i trattamenti sanitari a cui si dichiara di non voler essere sottoposti nel caso in cui ci si trovi in stato di incoscienza, in altri invece sono ricompresi anche i trattamenti a cui si presta il consenso laddove ve ne sia la necessità, soprattutto in considerazione dell’auspicata condizione di ritrovata coscienza cui i trattamenti potrebbero condurre.

Tra le tante, le più note e qualificate associazioni sul territorio nazionale a fornire questa tipologia di servizi sono: Associazione Libera Uscita, Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, Fondazione Umberto Veronesi, Associazione Gigi Ghirotti Genova.

In particolare, oltre alla previsione di utili indicazioni per la redazione delle disposizioni presenti nei siti internet delle associazioni su richiamate, l’associazione Luca Coscioni ha predisposto un “numero bianco” (0699313409) da poter contattare e attraverso il quale volontari e professionisti da tutta Italia saranno in grado di fornire aiuto e risposte su questioni riguardanti testamento biologico, cure palliative, interruzione delle cure ed eutanasia. Con le medesime finalità la Fondazione Umberto Veronesi ha creato invece un apposito indirizzo mail cui potersi rivolgere (testamentobiologico@fondazioneveronesi.it).

Conclusioni

La normativa che disciplina le DAT venne accolta nel 2017 con grande entusiasmo, come il positivo risultato di lunghe ed estenuanti battaglie legali promosse da singoli individui alla ricerca di una risposta ai propri diritti e a quelli dei propri cari, un obiettivo di civiltà raggiunto, una legge in grado di restituire finalmente dignità a chi si trovi nell’estrema e straziante condizione di sentire il proprio corpo come una soffocante prigione che elimina ogni spazio di autonomia. Dunque, per concludere, se ad oggi, a maggior ragione in seguito all’obbligata bocciatura della Corte Cost., emergono ancora gravi vuoti normativi, occorre guardare a quanto di buono ottenuto nel recente passato così da potersi ispirare ad esso nella redazione di una nuova e compiuta disciplina e così da tener ben saldi e poter sfruttare gli importanti risultati di civiltà e i diritti ottenuti.

MARCO BURESTA